Lo sguardo sul cinema e oltre

Green Book – Recensione

Green Book – Recensione

By Sonia Arpaia

C’è tanta vita e tanto cinema in “Green Book”, merito non solo della storia reale dei due protagonisti: Don Shirley (Mahershala Ali) pianista nero votato alla musica classica, altezzoso e sdegnoso verso gli stereotipi razziali, e Tony Vallelonga (Viggo Mortensen), detto Tony Lip per la sua capacità di raccontare palle, capace di risolvere situazioni difficili, “capa dura” tuttofare con un passato nei night di New York e un futuro come caratterista nei principali film “italoamericani” (dal Padrino, a Quei bravi Ragazzi, da Donnie Brasco fino alla consacrazione come boss nei Soprano).

Un marchingegno ben confezionato, una “favola di Natale a lieto fine” che però si basa sulla cronaca di un viaggio – o meglio un tour – nel sud est segregazionista degli Stati Uniti negli anni ’60. Razzismo, intolleranza, passioni tristi e ipocrisia sono materiali pericolosi da maneggiare senza scadere nel banale o nello sdolcinato, “Green Book” invece riesce a disinnescare il pericolo, a scardinare l’idiozia e l’intolleranza (disagi ancora oggi non debellati, anzi una certa stampa prezzolata li direbbe in forte espansione epidemica). A partire proprio dal titolo, riferito al “Negro Motorist Green Book”, l’infame guida pubblicata dal 1936 al 1966 con le indicazioni su hotel, ristoranti e locande in cui i neri erano accettati come clienti.

Al marchingegno contribuiscono in maniera determinante le interpretazioni di Ali e Mortensen, in particolare quest’ultimo (consigliata la visione in lingua originale per apprezzare la sua capacità di parlare in “ginese”, la lingua dei “goombà”) scelto proprio per il suo non essere italiano: del resto il regista Peter Farrelly ha pensato proprio a lui dall’inizio, ricordando come nel Padrino la parte di Don Corleone fosse stata riservata a Marlon Brando, che di ascendenza italiana non era.

Tanta vita e tanto cinema, perché “Green Book” non può non ricordare un “A spasso con Daisy” rovesciato, ma le lampadine in testa si accendono pensando anche ad altri film in “bianco e nero” e non solo per il colore della pelle (visto che spesso non è solo quello a fare di una minoranza il “negro di qualcun altro”). Quindi non solo “Una poltrona per due”, ma anche “Un biglietto in due”, o “Faccia a faccia” di Sergio Sollima: un road movie in cui i due protagonisti finiranno per assumere ognuno un po’ della personalità dell’altro, con una amicizia – e anche questo è realtà – che durerà per i successivi 50 anni.

Due esistenze “in between” – il nero che ha studiato musica classica a Leningrado, l’italoamericano che cerca una via d’uscita dal suo ghetto – che troveranno i propri tratti in comune. Il pianista nero finirà di sentirsi un fenomeno da baraccone, invitato da ricchi bianchi borghesi per essere ammirato come una fiera in gabbia, l’autista italoamericano scoprirà invece che si può essere teneri senza perdere la propria durezza. Una delle prime e più apprezzate incisioni di Shirley è dedicata ad Orfeo che ritorna dall’oltretomba: anche “Green Book” racconta di un viaggio in territori oscuri e di come, con i compagni giusti e la capacità di mettersi in discussione, si possa tornare a casa senza avere le mani – e il cuore – vuoti.

 

Paolo Giannace

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